C’è una strada nel cuore. Spesso cerchiamo di eluderla, poiché gli ostacoli posti lungo
il suo cammino sono barriere insormontabili che inconsapevolmente innalziamo a
nostra difesa. Ma, se solo avessimo la forza di muovervi i primi passi e poi, il
coraggio di percorrerla fino in fondo, alla fine di quel lungo sentiero, ne sono certa,
saremo in grado di analizzare noi stessi.
Un viaggio nei ricordi partendo dalle nostre reminiscenze, per arrivare a oggi che ci
permetterebbe di accendere di nuovo il futuro, godendo attimo dopo attimo un
presente che ormai vivevamo solo passivamente.
Immaginiamo una strada, cerchiamo di scrutarla con gli occhi della fantasia. Ognuno
di noi la vedrà in modo diverso. Io l’ho veduta così; piena di luce e immersa nei
profumi, avvolta dalle tenebre poi dissolte dai colori e le ho dato un nome: La vie en
Rose. Forse perché mi ricorda una famosa canzone, forse perché pronunciare quelle
parole è già una melodia, oppure perché mi piace immaginarla malinconica e dolce.
Ma, in fondo che importanza può avere, trovare una ragione? Quello che realmente
conta, è che sto iniziando a percorrerla.
***
Un cespuglio di rose dai colori meravigliosi mi accoglie all’inizio del viale,
diffondendo nell’aria una dolce essenza. Ma come è nella natura del suo fiore, gli
arbusti recano spine, aculei che possono penetrare la pelle in profondità. Così, spesso
dalle dita ferite gocce di sangue si adagiano sui petali tingendo di rosso vermiglio le
bianche corolle. Qui tutto è avvolto dal silenzio e un cielo di corallo accoglie sottili
filari di nubi. E lei così mi appare. Evanescente figura simile ad una bambola.
Lentamente avanza verso me. È esile la sua corporatura, i lunghi capelli castani sono
raccolti sulla nuca da un nastro rosso, stringe qualcosa in grembo, ma riesco appena
a decifrarne i contorni.
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Si muove lentamente in uno spazio indefinito tra una luce accecante, tanto intensa
che non riesco a distinguerla.. Poi, d’un tratto, come se il tempo avesse annullato le
distanze, mi è vicina.. Tende la sua piccola mano e la sensazione di smarrimento, che
mi aveva assalito poco prima, ricompare. Solo in quel momento rivedo me in lei.
Incapace di fare qualsiasi movimento rimango immobile, fin quando la sua voce
arriva a dissolvere lo stupore.<<Non temere. Ti accompagno per un tratto di strada.
Vedi quel grande platano? Mi è concesso di portarti soltanto fin la>>.
Camminiamo fianco a fianco fra file di alti platani, lungo un sentiero fatto di luce. Il
calore trafigge il mio corpo, persone a me sconosciute sorridono all’ombra dei
secolari alberi. Sono arrivata ai piedi del platano, lui si erge in tutta la sua potenza
prepotentemente verso il cielo dominando il suo spazio, i folti rami ricoperti di foglie
sembrano vacillare mossi dal vento. Sono sola. Stringo in grembo una bambola di
pezza
***
Quanto tempo è passato? Il sole tinge di rosa l’orizzonte e là, dove la luce abbaglia,
vedo avanzare verso me tre giovani donne. Osservo le mie mani, non sono più
provate dagli anni, lascio scivolare via le dita sul volto e non trovo le piccole cavità,
che il tempo trascorso aveva scavato. Le gambe sono agili, la mia figura snella si
muove velocemente verso di loro. Una ha l’ebano nei capelli, l’altra i raggi di sole del
primo mattino, la terza il rosso dei riflessi dell’arcobaleno nelle gocce di pioggia. Il
suo nome è Vanda.
Improvvisa la notte scende, ma non fa paura. Il viale ora è divenuto bosco. Le stelle
tappezzano il cielo di punti luminosi. Volgiamo lo sguardo verso l’alto, aspettiamo
trepidanti di veder cadere quei corpi lucenti, temendo di non riuscire ad esprimere i
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nostri desideri, strette in un silenzio che è soltanto nostro. Ma in questa notte c’è
magia, e noi la stiamo vivendo. Ed ecco improvvisa, attesa, la pioggia di stelle.
Ci prendiamo per mano, ascoltiamo i nostri pensieri, ma la scia della coda di una
cometa cattura quelle gocce d’argento.
Nel palmo della mia mano ancora il calore di Vanda, ma quando la sua luce ha
solcato il cielo ho cessato di guardare le stelle.
***
Ora cammino nella nebbia, fitta coltre grigia, fumo denso, inodore che risveglia i
fantasmi delle mie paure. Un alito di vento mi sfiora. Una presenza, l’ho solo
avvertita, ma la sensazione è stata intensa. Il panico mi assale, istintivamente incrocio
le braccia, tento di proteggermi e la mia voce, la voce di dentro quella che ascolto,
quella che non cessa mai di parlare scioglie la tensione e mi riporta indietro nel
tempo, così torno a vivere la storia della mia vita. Le immagini si susseguono, lampi
di luce simili ai flash di una macchina fotografica che continua a scattare immagini di
ieri. Nei miei occhi i colori si alternano; il rosa dei giorni sereni, il grigio delle
mattine di pioggia, il nero intenso delle notti senza fine. Ma, poi, finalmente appare
l’azzurro, respiro ancora l’odore forte del mare, ascolto il fragore delle onde, mai
stanche che si rincorrono l’un l’altra e torno a vivere il mio primo incontro con” lui”.
Il velo che copriva i ricordi silenziosamente cade, si dissolve nell’aria tinge il cielo di
nero, mentre torna quella lontana sera d’agosto. Sul lungomare, fila di lampioni
fugano le ombre e la luna stende il suo manto sulle onde dal bianco crine. Un brusio
di voci, un piccolo gruppo di ragazze. Fermo l’immagine su me stessa, mentre
sorrido spensierata alla vita con l’ingenuità dei miei diciassette anni. Un ragazzo
avanza verso noi. Questa è una foto che il tempo non potrà ingiallire. Noi non
potevamo saperlo, ma quei primi passi mossi insieme saranno l’inizio di un lungo
viaggio che ci vedrà divenire adulti insieme.
Scompare l’azzurro, il giorno reca con sé la nebbia opprimente.
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Apro le braccia, chiudo gli occhi e desidero il vento, avanzo nel nulla lungo il
sentiero.
A tratti intravedo ombre silenziose, uniche compagne evanescenti nella solitudine del
luogo. Oltrepasso un limite, oltre il quale luminoso irrompe il verde e accende ogni
cosa di primavera. Gli alberi, prima nudi come scheletri, si vestono di foglie, poi,
come in un teatro, si alza il sipario che copriva la scena e appaiono le distese
immense dei prati, che separarono le nostre vite per un tempo che parve non aver
fine. Lunghi i giorni dell’attesa, il fischio prolungato di un treno che segnalava un
arrivo, poi una stazione che appariva ferma, le lancette di un orologio immobili
sull’ora della partenza.
***
Cos’è un attimo? Se è solo una frazione di secondo nella vita, perché questo viaggio
nel tempo sembra non aver fine? È interminabile il viale. Ora tutto è avvolto dal buio
e là, dove non c’è luce, un freddo intenso mi pervade. Vorrei tornare sui miei passi,
ma una forza misteriosa mi spinge ad andare avanti. Mi volto, ma il nulla ha
cancellato le tracce di ciò che era, poi improvvisamente un lampo esplode e l’alba
colora l’aria. Socchiudo gli occhi, un battito di ciglia e il giallo ora colora ogni cosa.
Un immenso campo di grano mi spalanca le braccia, il vento caldo muove le messi
dorate. Guardo felice quella distesa, cerco l’orizzonte. Silenziosamente chiedo ai miei
occhi di spingersi oltre quella linea che unisce il blu al giallo e improvvisamente lo
vedo, corre verso me e in quel momento il giallo diviene oro, come l’anello al dito
nella mia mano sinistra. Una sottile polvere inizia a cadere, scende simile a granelli di
sabbia bianca. Tutto ora è candido, come il mio abito da sposa, come quel cielo di
dicembre, come la brina sull’erba dei prati, come la neve che cade coprendo Roma di
magia.
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Come sempre, il bianco si dissolve. L’attimo è passato e torna la notte. Una piccola
stella brilla nel nero assoluto che scende inatteso, silenzioso come la malinconia che
parla al mio cuore. Poi quella piccola luce che sembrava indicarmi il cammino
diviene immensa e occupa il cielo. Una sottile pioggia d’argento inizia a scendere
sulle note della musica di un carillon. Sono nella mia stanza da pranzo.Osservo il
vecchio salotto, il mobile, la cristalliera e il lampadario a gocce che piove sul tavolo
di legno antico e ascolto voci di bambini , che provengono dalla stanza in fondo al
lungo corridoio. Poi li vedo giocare, i miei figli, le bambole, i soldatini di gomma
sparsi sul pavimento e tornano a vivere gli anni più belli della mia vita, accendono i
ricordi che sembravano sepolti nella memoria, allora c’erano ancora le favole da
raccontare e il domani da costruire. Ma non c’è fiaba senza figure malvagie da
sconfiggere. Il male si pose fra me e “il mio mondo” annidandosi in profondità allora
sconosciute. Ma perché il bene non sconfisse il male?
Non devo esitare. Non posso fermarmi, le gambe vacillano sotto i sassi, ma devo
andare fino in fondo, anche ora che le gocce d’argento bagnano i miei capelli. Inatteso
si è levato il vento, sferza con violenza le cime degli alberi, che vacillano ma non si
piegano. Ondeggiano, resistono, poi tornano in alto più imponenti di prima ed io, mai
come in questo momento, sono parte indissolubile della natura. Il rintocco di una
campana mi restituisce il coraggio che sentivo di aver perduto. Vedo il campanile di
una chiesa e in quel momento ritrovo la serenità. Nella mano stringo un confetto
d’argento che diffonde nell’aria il suo dolce profumo.
Bevo fino in fondo la sua essenza che nutre il mio cuore di momenti felici.
La pioggia cessa. Il sentiero è meno scosceso, tutto intorno a me si tinge di arancione
e un sole immenso tramonta oltre le colline scure dove le nubi si adagiano stanche.
Un suono strano mi strappa a quel dipinto: è uno scroscio d’acqua che fluisce veloce e
lambisce una roccia, cammino fra l’erba alta e i fitti rovi, il viale è divenuto una
foresta.” Quale sortilegio può essere avvenuto?”
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Qualche timido raggio di sole riesce a filtrare fra gli alberi, ma è ancora l’ombra che
domina il mio viaggio.
Poi esplode la luce, le colline sono alle mie spalle e io sono in prossimità di un
piccolo lago.
L’eco di un canto, il richiamo di una favola antica mi spingono sulle sue rive. I miei
abiti s’incagliano fra le spine, brandelli di stoffa rimangono appesi agli sterpi ed io
vedo” la signora del lago”. La sua bianca figura traspare fra l’acqua e la roccia, veli le
cingono il corpo ma non nascondono le sue nudità, lunghi capelli dorati le
incorniciano il bel volto. Sembra che dorma da anni ma, quando improvvisamente
apre, gli occhi ogni cosa che la circonda torna a vivere! Si dissolve la foresta,” Forse
torna a vivere nelle pagine di un’altra fiaba.” Ora le Muse intonano il loro canto più
bello sulle note della musica degli Elfi, il verde s’illumina tornano ad accendersi i
colori dei fiori. I miei piedi sono bagnati, lei ora è vicina. Zampilli d’acqua le si
adagiano sui palmi delle mani, poi simili a stelle filanti si riversano nel lago, la sua
voce è dolce e avvolge l’anima.
<<Dimmi, è questo il mondo che immaginavi? Il regno che sognavi da bambina?
Vedi io ci sono ancora, vivo nella tua fantasia, lì mi potrai trovare, ogni volta che lo
desidererai.>>
Le sorrido e una, voce che non udivo da tempo, mi stupisce.<<Sono certa che non
dimenticherò mai questo luogo, sono felice di aver vissuto, anche solo per un istante,
quello che finora ho soltanto sognato.>> Ma, una nube minacciosa copre il cielo e
tutto intorno a me svanisce. Il cielo imbruna e io ritrovo solo la mia immagine riflessa
nelle acque del lago, le rughe solcano il volto, le mani scoprono vene scure. I miei
capelli sono d’argento! “C’era una volta, tanto tempo fa la signora del lago…” Torno
ad ascoltare le parole di quella fiaba antica, guardo la roccia scura, ma non riesco più
a sentire lo scroscio dell’acqua né la voce che narrava, la voce di mia madre, ma la
sua immagine, ora riflessa nello specchio degli anni, è simile alla mia.
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***
Sento che il lungo viaggio sta per finire. Nessun colore si accende e non odo più
nulla. Cammino nel grigio della nebbia che esala dalla terra, invoco il vento amico e
misteriosamente mi trovo ad un bivio. Quell’unica strada è divenuta un ‘enorme croce
ed io ne sono esattamente al centro e comprendo che una sola, di quelle vie è quella
giusta. Preda del dubbio, rimango immobile mentre rammento quanto siano state
difficili le scelte nella mia vita. Poi improvvisi dal cielo iniziano a scendere petali di
rosa, una struggente melodia avvolge l’aria, che non è vento ma piacevole brezza e
accarezza la mia pelle. Una foglia volteggia, resta sospesa per un istante
nell’atmosfera, poi si lascia trasportare via ed io come foglia mi affido al vento, preda
delle mie costanti esitazioni. Un tuono lacera l’aria ed è di nuovo il buio. La notte che
si era interrotta per lunghi tratti del cammino domina ancora la scena, mentre
precipito in un vortice che mi porta sempre più giù. Scendo velocemente nelle viscere
della terra, tento di gridare, ma la voce è ostaggio del terrore. Impazzisce il cuore,
pulsa nelle tempie senza sosta, ma poi la stretta di una mano che afferra la mia mi
impedisce di precipitare ancora, mi fa risalire verso la luce.
Finalmente libero le lacrime, piccole stille di dolore solcano il viso, scendono
lentamente, si adagiano sulle labbra infinite gocce di sale, oceano del mio io.
Spaventata guardo in basso, l’acqua che mi avrebbe inghiottita ribolle, schiuma,
borbotta le parole di una macabra canzone, non ha colore, non è mare, non è lago e
non è fiume; è un enorme medusa scura, la sua voce suadente incanta mentre
pronuncia queste parole.
<<Vieni, qui c’è l’oblio. Guarda cosa ti posso offrire>>. Ora l’acqua è divenuta
specchio che riflette immagini a me care: prima è il volto di mia madre quello che
appare, poi sono i volti delle amiche perdute, quelle che passano lentamente dinanzi
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ai miei occhi, ma sono quelle braccia protese verso l’alto che celano il volto di mio
padre a far vacillare le mie certezze.
Cerco di lasciare quella mano che trattiene la mia , quando improvviso un eco
lontano mi riporta la voce dei miei figli e spezza l’incantesimo.
Il freddo intenso che avvertivo si scioglie come neve al primo sole, mentre un sottile
velo scivola dalle mie spalle, scende ondeggiando verso il basso e un urlo lacera
l’aria. E’ sconfitta “ la nera signora” che con una mano stringe la falce e con l’altra
afferra il velo e lo assicura alla cintura.
***
Il cielo non è mai stato tanto vicino come ora. Protendo avida il volto alla luce. Sono
fuori dal tunnel. Guardo con meraviglia l’arcobaleno che riunisce il verde al giallo,
l’oro all’azzurro, mentre il sole orla d’argento le bianche nubi che si adagiano sul blu
intenso, simili a spruzzi di panna montata. E allora torna la gioa di vivere in me,
incontenibile come quelle lacrime nuove che lasciano sulle labbra il sapore dolce
della felicità.
Il viale è alle mie spalle, ma posso ancora sentire il tenue profumo di rose che
avvolge l’aria. Lentamente, socchiudo gli occhi, attraverso le fessure della finestra, il
chiarore dell’alba inizia a dissolvere le ombre nella stanza. Quella notte avevo atteso a
lungo l’arrivo del sonno e percorso con il pensiero l’interminabile viale dei ricordi.
Poi mi ero lasciata prendere fra le sua braccia, stanca e provata dopo aver ascoltato,
come sempre, “ quella voce” che non cessava mai di parlare, incalzata dalla perfida
coscienza, che si erge a giudice e che difficilmente concede il perdono, ignorando
qualsiasi attenuante.
Stringo a me il cuscino, per trovare ancora un po’ di tepore e solo allora mi accorgo
che in alcuni punti è bagnato e macchiato di rimmel. Da una foto sul comodino, al
lato del letto, mio padre mi sorride.
E’ giovane, è solare e con il braccio cinge le mie spalle. Se ne è andato troppo presto
e in fretta, salendo su un “ treno “, che quella volta non avrebbe guidato lui.
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Un “treno” che passa velocemente sulle nostre vite, spazzando via i solidi binari degli
affetti.
Mi rigiro nel letto, un lembo del lenzuolo lascia trapelare il suo volto. Dorme sereno,
ascolto il respiro regolare, ancora non sa che la sua ombra è stata la mia compagna
lungo “ il viaggio “. Sino alla fine ho creduto di essere sola, sino alla fine ho ignorato
la sua presenza, ma lui era stato il vento che avevo invocato e sua era stata la mano
che aveva afferrato la mia sull’orlo del precipizio. Lui aveva attraversato con me “ l’
arcobaleno “.
“ Forse è riuscito a cogliere il mio pensiero! “ Si volge verso me e la sua mano, quella
“di un ragazzo” divenuto adulto si posa sulla mia. In quello stesso istante, sulle ali
del vento, le note di una vecchia canzone tornano, ed accendono nuove emozioni.
Lascio che quella melodia percorra le arterie, aspetto serena che arrivi al cuore,
mentre per un momento rivedo ancora “ La vie en rose” prima di lasciarla andare e
spero che qualcuno, al calar della sera, trovi, come me, il coraggio di percorrere fino
in fondo quella strada dal nome inusuale, a tratti tortuosa, a tratti buia o accesa dai
colori, che racchiude per chi la vorrà conoscere, i meravigliosi colori della vita.

Scritto da: Laura Marcucci