Anna, poco più di quindici anni, piccola di statura, fisicamente minuta, lunghi capelli

biondi e grandi occhi color nocciola che guardano lontano.

Erano gli anni settanta.

Nel piazzale del Liceo scientifico Francesco D’Assisi di Roma: tanti studenti, alcuni

sono compagni di classe, amici e nemici per diversa fede politica.

Anna diffonde il quotidiano l’Unità come qualcosa di prezioso, lo fa con convinzione,

lo consegna nelle mani di chi, come lei, crede che quelle idee porteranno la loro

generazione a vivere in un futuro migliore.

Lo fa anche se, a volte, viene insultata, spesso maltrattata da coloro che credono di

intimorirla con la violenza. Ma lei non cede, perché sa che, per ottenere quei diritti

che spettano per natura, bisogna lottare.

Al suono della campanella il cortile lentamente inizia a svuotarsi e allora il concitare

delle voci invade l’edificio, diviene brusio lungo le scale per poi affievolirsi quando gli

studenti entrano nelle aule.

Allora un silenzio quasi irreale sembra stendere il suo manto sulle parole rimaste

sospese nell’aria che sa di quaderni e di libri da sfogliare.

Anna in classe perde la sua sicurezza, si intimorisce davanti ad alcuni professori che

sono distanti dalle sue ideologie, fedeli al vecchio modello reazionario.

Al contrario, il suo rapporto con alcuni altri docenti, aperti alle nuove generazioni, la

coinvolge emotivamente, le fa credere che le barriere che spesso si innalzano fra

studenti e professori a volte si possono abbattere se si condividono le stesse idee.

Ma nel tempo Anna capirà che il “professore” era e sarà sempre il “professore”.

Come il prof. Santoro, “esimio” docente di latino. Durante i compiti in classe si sedeva

sulla cattedra, le braccia conserte, gli occhi di brace fissi sulla scolaresca, pronto a

carpire qualsiasi tentativo di scambi di informazioni. Osservava “le sue vittime”,

mentre in un silenzio assoluto ogni ragazzo/a riusciva ad ascoltare i battiti del cuore

scanditi dal tempo interminabile che richiedeva l’analisi dei testi, altrettanto

interminabili, che assegnava.

L’attesa per l’esito dei risultati ottenuti era ancora più terrificante: “Una mesta

processione” al suo cospetto, per chi riceveva il componimento svolto con le dovute

considerazioni. Usava una matita di due colori: blu e rosso. Il blu non era il colore del

mare, ma il segno delle lacune cognitive; il rosso era la fiamma che scioglieva le gelide

tensioni dei muscoli contratti nell’attesa.

Se con lui il clima era glaciale, con il prof. Landi era di una brezza leggera.

Lui dietro la cattedra non sedeva mai, prendeva una sedia da un banco vuoto e si

lasciava “il trono” alle spalle. Era parte di noi.

Gioia e Menghini, rispettivamente insegnanti di inglese e di lettere, rappresentavano

il cambiamento del rapporto docente-studente: il sogno di quegli anni che si

realizzava con dialoghi non più strettamente didattici, ma socio-culturali.

Ma poi anche loro diedero delusioni, quelle più atroci perché inaspettate: senza

ombra di dubbio con uno di loro, in qualità di membro interno all’esame di maturità,

ci saremmo sentiti tutti più a nostro agio.

Il tempo passa in fretta e ora che cosa resta di quegli anni? Che cosa è rimasto di quei

sogni?

E’ divenuta adulta la “piccola Anna”. Cammina tra la gente che quasi la sfiora, che

corre ostaggio del tempo che li deruba anche del pensiero.

Lei, invece, non ha cessato di osservare e le sembra di non appartenere più a questo

mondo, perché non era l’individualismo, l’io che oggi impera, un elemento del sistema

nemmeno ipotizzabile, quando spingeva lo sguardo oltre l’orizzonte, immaginando

una società diversa.

E allora… le immagini tornano a vivere…

In un flash accecante il cortile della scuola in un terso mattino di aprile. Le assemblee

e i dibattiti accesi nella palestra semibuia della scuola. Le voci che in un crescendo di

toni divengono grida e la furia violenta delle cariche dei gruppi di estrema sinistra.

Lei, al contrario, rivendicava i suoi diritti con le parole senza l’uso delle armi,

stringendo in pugno quella bandiera che sventolava, colore del fuoco, accesa dalla

fiamma dell’ideale che ardeva nel suo cuore.

Quelle idee volevano portare al cambiamento del sistema corrotto e già avviato al

consumismo: “Crediamoci, e il domani sarà migliore, senza disuguaglianze sociali,

senza guerra, senza corruzione” era il suo pensiero.

“Quanto tempo è passato, Anna? Cos’è accaduto poi?”

Ricordi, terminasti gli studi, conseguisti il tuo diploma, decidesti di iscriverti

all’università, ma poi abbandonasti. Non riuscisti a comprendere che l’istruzione e il

sapere non sono mai abbastanza.

“E le tue idee? Le tue convinzioni?” Morirono lentamente in te. Lasciasti che fossero

gli altri a continuare quel lungo cammino verso il rinnovamento.

Avevi mosso solo i primi passi, ma senza riflettere, facesti in modo che, in un giorno

qualunque, ad un corteo, uno dei tanti a cui partecipavi, mancasse la tua voce. Ma,

dopo la tua, quel corteo perse anche altre voci. Fin quando rimasero in pochi a gridare

per le strade e “l’esercito” che marciava non fece più paura ai potenti, che,

lentamente, si riappropriarono di quelle grandi conquiste che avevamo acquisite con

tanta determinazione.

“Anna, rammenti?” “Italia splendida penisola bagnata dal mare…” Tornano le parole

della professoressa di geografia. Ma l’Italia non era quella terra che dipingevano. Era

stata deturpata dalle bombe, era l’Italia dalle stragi impunite.

Divenne poi ostaggio del terrore con le Brigate Rosse. Fu spesso sull’orlo del

precipizio, quando diverse volte il Paese rischiò di perdere quella democrazia, quella

libertà per le quali avevano sacrificato la vita tanti uomini giusti.

Ora Anna guarda il cielo: è blu come tanto tempo fa. Il vento le fa socchiudere gli

occhi.

L’aroma del caffè tostato della vecchia torrefazione Mondi si spande dolcemente

nelle narici e le papille gustative tornano ad assaporare i pregiati sapori di un tempo.

Quasi senza accorgersene, immersa nei ricordi, si ritrova a passare davanti al vecchio

edificio, dove c’era la sezione giovanile di cui era una dei militanti. Ora c’è soltanto

una scritta sbiadita dal tempo che indica il luogo. Non ci sono, come allora, le bandiere

che ondeggiavano mosse dalla brezza.

Un pensiero le attraversa la mente e lo lascia libero di volare, perché vuole ancora

credere che qualcuno le stringa tra le mani e che ora sventolino in un corteo che

diviene sempre più grande.

“Ricordi, Anna?” Un giorno dicesti ai tuoi figli: “Perdonatemi se questo mondo che vi

consegno non è quello che sognavo…il mondo che volevo…”

Anna, quanti sogni hai perduto!!!

Si spengono le luci e le insegne dei negozi. Il tram, passando sulle rotaie, sferraglia. Le

persone in strada camminano in fretta ostaggi del tempo sempre in ritardo. Ma non

in tempo per cosa se non per noi stessi?

Una sottile nebbia si è levata e sembra coprire le immagini emerse dalla memoria e

adagiare il suo impercettibile velo sui luoghi dove Anna ha ritrovato il suo passato.

Da lontano vede sopraggiungere un autobus. Anna si affretta, non vuole perderlo.

“Da quando tempo non salivi su un autobus?” si chiede.

Fa fatica a sorreggersi, come gli altri passeggeri, nonostante i sostegni, il mezzo

leggero non consente un solido equilibrio e lei non può che arrendersi al progresso,

ricordando i vecchi mezzi di trasporto più pesanti, affollati come ora, ma con le luci

fioche.

4

Le voci di un gruppo di ragazzi la fa voltare. Li vede sorridere. Involontariamente

ascolta la loro conversazione e non può impedirsi di constatare quanto divario ci sia

tra quella generazione e la sua degli anni passati.

Qualcuno, pur “ondeggiando”, riesce a tenere tra le mani il cellulare, isolandosi da ciò

che lo circonda.

E allora una voce dentro di lei sembra sussurrarle quelle parole che hanno il dolce

sapore della speranza: “Posso fare qualcosa per cambiare questo sistema? Potrà

ancora la mia voce levarsi per far comprendere ai giovani che questo mondo è

peggiore di quello passato, che il loro vivere è passivo e non partecipativo come prima?

Ci sarà un giorno qualcuno ancora in grado di guidare questa generazione, che non ha

e che forse non ha mai conosciuto gli ideali?”

Anna guarda fuori dal finestrino, mentre l’autobus procede in fretta quasi volesse

annullare le distanze dal passato.

Improvvisamente la nebbia si dirada, la luna, così immensa come non l’aveva mai

vista, illumina il cielo, quando qualcosa appare in lontananza. E tornano le voci ad

infrangere il silenzio.

C’è Marco alla testa del corteo, Claudio e Massimo sono nel cordone del servizio

d’ordine.

Il coordinatore dei manifestanti con il megafono inizia uno slogan, un boato

assordante lo conclude. Anna si guarda intorno. I giovani che erano nell’auto non ci

sono più: sono alla coda del corteo che ora si perde all’orizzonte.

Una lacrima solca il volto di Anna, istintivamente passa le dita sul dorso delle mani

dove le vene contano gli anni. Ma non importa perché quello che ascolta ora è l’urlo

di ribellione di una nuova generazione che si è ritrovata, che ha letto fra le righe del

libro del tempo la storia della precedente.

E l’alta marea, che sommerge l’indifferenza, si infrange contro i palazzi del potere

dove per troppo tempo si è abusato dei più deboli.

Anna prenota la fermata per scendere. Ma… dietro di lei i ragazzi continuano a ridere

e a scherzare…

Il ragazzo al cellulare la guarda per un istante, poi torna a leggere sullo schermo che

s’illumina.

Anna scende, si ferma sul ciglio del marciapiede fino a quando vede i fanalini di coda

dell’autobus che scompare oltre la curva.

Incede lentamente verso casa, ascolta i suoi passi, lascia che la nebbia torni a coprire

i suoi lontani ricordi, mentre, nonostante tutto, sente ardere ancora in lei la fiamma

della speranza.

Scritto da: Laura Marcucci